L’alba è passata da poco e già ci si muove, chi l’avrebbe mai detto un Crema mattiniero! Ma c’è Pido che mi sfida e mi stimola, lui ogni giorno ceca di catturare la luce migliore, quella che ha fatto immortale la Grecia. Arrivo alla fortezza con lui che è giù a caccia di leoni ed esploro i bastioni conquistati da Morosini nell’ultima campagna di conquista della Serenissima in Morea, quando Venezia tentò di sentirsi ancora potenza mediterranea. Il grappolo di cannoni arrugginiti buttati a fianco del ponte d’entrata nella fortezza testimoniano bene quanto fosse folle quell’ultimo volo. Il rumore di una barca a vela mi distoglie da questi grevi pensieri, c’è un pescatore sulla sessantina pelato e con gli occhilai da ragioniere che entra nello spazio d’acqua antistante alla fortezza e ormeggia.
Questa è casa sua. Si accende una sigaretta e inizia a sfilare la rete, mossa antica, sempre uguale, imperitura e anche stanca, come questa pesca che definisce lui scarsa. Butta i pesci piccoli in mare con dispetto. La sua barca è di legno e povera, un guscio che non piuò affrontare tante altre battaglie. Più avanti, quando le mura si alzano e la baia si apre dove un tempo ospitava le galee veneziane un altro pescatore arranca verso terra, più giovane, più deciso. La moglie è venuto a prenderlo in riva, e inizia ad aiutarlo a lavorare le reti, a cercare il pesce pescato. Spunta anche il loro bimbo biondo che s’arrampica sulla cima per curiosare in barca. Il tempo già stringe, c’è Itaca da conquistare ma un bagno ci vuole. La spiaggia è fequentata da vecchi ed è di sassi, il mare affonda subito in un colore turchino che sa di magia e rinascita.
Partiamo quando il sole non brucia ancora, entriamo nel canale di Leucade, infido e stretto come un Corinto di sabbia. Sono al timone, parliamo di Saffo e mi distraggo e rischio di buttare la barca in secca come un Fantozzi qualsiasi, il capitano mi riprende e riprendiamo il trotto in quel canale che s’allunga per tre miglia nella palude salmastra tra boe di segnalazione, banchi di sabbia e moli sommersi. La collina di fronte sopra Leucade – Lefkas conserva le tracce di un’antica città micenea, la fine di questo budello è sorvegliata da una fortezza merlata che era veneziana e poi turca e prima chissà bizantina, il solito guazzabuglio delle storie che sembrano ogni volta decisive e poi sterzano senza preavviso, come un terremoto, quello che a Zante cancellò l’architettura veneziana dalla città che diede i natali a Foscolo. Who’s he? Già, chi è costui? Ma cerchiamo il vento nel mare aperto finalmente in baia e arriva, arriva. Prima da Sud Est e poi, man mano scivoliamo sotto Leucade e verso Meganisi e Skorpios, l’isola di Onassis, cambia in Maestrale. E la nostra barca inizia a galoppare quasi liberata finalmente da questo vento sui 15 – 20 nodi che monta sempre di più portandoci di volata verso Itaca, l’isola di Ulisse piena di sole e rocciosa, terra di capre. ma è la sua patria.
E’ stata una liberazione quel bordo lungo quasi un pomeriggio, quel viaggio veloce e leggero come il volo di un un gabbiano tra terre che ben presto all’orizzonte restano solo come montagne o scogli, poco più di un abbozzo sulla distesa blu del mare straniero. E’ una magia che ogni tanto si rinnova quella che stavamo vivendo, un tocco di fortuna perché è sempre il fato a governare chi vuole andar per mare col vento. E quel momento ce n’era, tanto da farci viaggiare sui 6 – 7 nodi. Unico inghippo, Frikes non ci è permessa, la raggiungeremo domani, per terra, con un umile mulo moderno, uno scooter Piaggio che alla salita più dura obbligava a smontare Pido. Nemmeno Kioni è raggiungibile, il capriccio del vento ci indirizza a Vathi, la capitale dell’isola cara ad Atena, una cittadina adagiata sulla grande baia che raggiungi solo dopo un budello nell’isola strozzata a mezzo e legata dal monte Aetos. Arriviamo col sole ancora alto e la terra leggendaria netta nel suo profilo punteggiato dai vecchi mulini che sembrano torri. L’entrata in porto dal golfo di Molo è sorvegliata anche da un bastione perso in mezzo alla sterpaglia, poco più un abbozzo che il giorno dopo scopiremmo ospitare due cannoni, uno dei quali veneziano.
E’ un leone in moeca che ne decora il fusto ancora ben conservato, alla sua destra tiene una spada, alla sinistra una croce che potrebbe essere anche un tridente da Nettuno, il grande nemico di Ulisse. Ormeggiamo davanti alla trattoria sotto il montarozzo Ketalo in una delle tante marine semi abbandonate che punteggiano le coste e le isole greche, testimonianze di una voglia di turismo che si è infranta sul concreto. Troppe illusioni dietro le ultime olimpiadi, e altrettante truffe.
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