Alvise Zorzi se ne è andato. E noi amanti di Venezia siamo un po’ più soli. Maestro di scrittura e d’eleganza, il “doge” come l’aveva soprannominato il figlio Pieralvise, è stato un compagno costante per la mia vita di lettore e di scrittore. Grazie a lui ho scoperto ombre e luci della storia di Venezia, esplorato con più attenzione la mia città adottiva. Sono stato conquistato dal suo narrare arguto e poi ho scoperto una persona fantastica, che mi è stata vicina in tutti questi anni di peregrinazioni e narrazioni. Nel 2007, ebbi l’imprudenza di chiedergli di scrivere la prefazione al mio secondo libro: Sulle Ali del Leone, il racconto di un viaggio un po’ nostalgico e molto sgangherato in Adriatico tra Grecia, Albania, Montenegro e Dalmazia, su una vecchia barca a vela sulle rotte della Serenissima. Un’avventura. Che lo catturò. Non ho mai capito per il tema o per come era stato portato in… porto. Di sicuro da allora seguì sempre le mie e le nostre peripezie con rispetto e simpatia, mai con distacco.
La mia faccia tosta arrivò anche a chiedergli lumi e consigli per il mio romanzo storico nel cassetto, ambientato tra Venezia e la Grecia alla fine del XVII secolo: Morea. Mi incoraggiò anche in questo lavoro, perorò la mia causa in Mondadori. Poi non se ne fece nulla per vari problemi e questioni, ma lui continuò ad appoggiarmi, a seguire da lontano (purtroppo) i viaggi verso Creta-Candia e verso Istanbul-Costantinopoli, i documentari, le idee, le storie che cercavamo sempre di dispiegare all’ombra di Venezia nel Mediterraneo e anche oltre come sul Mar Nero. Lo faceva con humour e garbo, come un maestro antico. Di quelli che non guardano mai dall’alto al basso ma che ti sfidano a seguire i tuoi sogni. Come lui ha sempre saputo fare in tutta la sua bella e lunga vita.
Alzate l’architrave, carpentieri: un grande uomo ci ha lasciati, che il mare e la terra ti siano lievi. Venezia ha perso uno dei suoi più grandi difensori e cantori. E io il mio maestro d’avventura.
“Venezia Oltremare” documenta il patrimonio veneziano nel mediterraneo orientale sulle rotte Venezia – Creta – Istanbul e attraverso le immagini raccolte sul campo cerca di indagarne le connessioni culturali.
Promo video presentato venerdì 28 settembre 2012 all’Arsenale Grande della citta’ di Chania a Creta nell’ambito della conferenza “L’opera di Giuseppe Gerola per lo studio, la conservazione ed il restauro dei monumenti architettonici di Creta e delle isole egee”
22/07
Istanbul! Finalmente. Dobbiamo aspettare le nove che apra l’ufficio per espletare le pratiche doganali. Nel frattempo sciacquiamo la barca che ci ha portato caparbiamente fino a qui, la riassettiamo, e via in centro: vogliamo raggiungere Elena e Andrea: due amici venuti a sostenerci per un tratto del viaggio, arrivati a Istanbul già ieri sera. Dopo pranzo finalmente arriva anche Maurizio, l’ideatore di tutto il progetto che non è potuto salpare con noi da Venezia. Fino a qui abbiamo un po’ sofferto la sua mancanza e glielo facciamo pesare trattandolo “male” come sempre, però siamo sollevati e contenti: la vecchia ciabatta ci mancava parecchio. La città è enorme, metà in Europa e metà in Asia, 18 milioni di abitanti censiti, in aumento di un milione l’anno. Abbiamo meno di due giorni, ma ci bastano per capire che è magnifica e bisogna tornare. Santa Sofia, Moschea Blu, i mercati, Galata: troppe cose appena annusate.
Scegliamo di utilizzare il taxi per spostarci rapidamente da una zona all’altra, ma si rivela una fregatura, gli autisti non conoscono le strade e non parlano inglese, si fermano in continuazione a chiedere indicazioni e non ti portano all’indirizzo ma in zona, poi ti fanno scendere e ti dicono “di là!” (a cenni). Per noi, diffidenti e abituati agli abusivi lagunari sembra una fregatura ma dopo un po’ capiamo che è meglio così, perché effettivamente venivamo lasciati vicino al luogo richiesto, non come a Venezia dove i turisti vengono sbarcati al Ponte delle Guglie dicendogli che S. Marco è dietro l’angolo. Anche contrattare prima il prezzo non ha molto senso. Ogni volta che lo abbiamo fatto è stato controproducente: all’arrivo il tassametro indicava una cifra inferiore a quella pattuita.
Invece l’ospitalità e la cortesia che ci è riservata ovunque sono veramente magnifiche. A partire da quella di Goksu e dei suoi amici che hanno organizzato un concertino di Wasted Pido in un atelier di una giovane artista. Passiamo la fine del pomeriggio e l’inizio della serata con loro nel terrazzino, bevendo birrette e ascoltando rock’n'roll; ogni tanto un uomo esce della finestra di fronte e ci guarda male: è in corso il ramadam e per chi segue i precetti dell’ Islam dobbiamo sembrare un’accolita di peccatori. In serata ci portano a mangiare e fino a notte fonda si beve e si parla. “Prima c’era un governo militare-fascista, oggi c’è un governo islamico-fascista”, racconta uno dei ragazzi che vedono il loro futuro sempre più lontano dalla Turchia, un paese con un’economia che cresce a ritmi forsennati e che sembrerebbe la terra promessa di molti giovani. Questi, assolutamente occidentali e liberi, invece qui non vedono un futuro.
23/7
Appuntamento a Palazzo Venezia nel quartiere di Galata, dall’altra sponda del Corno d’Oro, un tempo residenza del bailo veneziano, l’ambasciatore di Venezia a Costantinopoli che qui era considerato alla stessa stregua del Doge. Oggi è la residenza di rappresentanza dell’ambasciatore d’Italia. Ci fanno da guida e spiegano un po’ come funzionano le cose in Turchia. E’ difficile andare in profondità, c’è una cautela diplomatica che dopo un po’ però svapora ed emerge la fotografia di un paese e una città a chiaro scuro, dove povertà e ricchezza convivono con corruzione e disperazione. Il palazzo attuale è del sedicesimo secolo, e conserva quattro leoni marciani: uno sulla facciata dell’ingresso, con lo stemma della famiglia Molin; uno in moeca un po’ mangiato dal tempo incastonato sul muro dell’atrio, appena entrati nel palazzo; uno appoggiato a terra davanti ad uno specchio nel salone di ingresso del piano terra; ed infine uno bello grosso e ben conservato in un sottoportico del bel giardino del palazzo, sotto cui è stata posta una targa che riassume la storia del sito : “Palazzo di Venezia dal ’500/per un secolo rappresentanza asburgica/dal 1919 sede dell’ambasciata d’Italia”. Un posto dove la storia la tocchi quasi con mano, ed è la nostra storia, d’Italia e soprattutto della Serenissima. Alla fine della visita andiamo a mangiare un kebab di pollo che ci consigliano gli impiegati dell’ambasciata. Il posto è gestito da un padre e dai suoi due figli, non parlano una parola di inglese ma sono gentilissimi e simpatici e ci capiamo benissimo, gesticoliamo nella stessa identica lingua. A malincuore torniamo alla barca dopo aver fatto cambusa, bisogna ripartire presto per recuperare i giorni di ritardo: il 27 dobbiamo essere a Mykonos per imbarcare altri passeggeri. Partenza al tramonto, destinazione Chios: 250 miglia… un duro benvenuto per i nuovi arrivati in barca.
17/07 LESBO
La navigazione è piuttosto tranquilla, a mezzogiorno siamo sottocosta a Lesbo e il Meltemi sale rapidamente di intensità, doppiando il capo si arriva a raffiche di 35 nodi, abbiamo tre mani di terzaroli alla randa e trinchetta. La baia scelta per fermarsi è Sigri (Porto Seguro sugli antichi portolani genovesi), giusto dietro la punta. Anziché intestardirsi a passare a bordi ammainiamo e facciamo le ultime tre miglia a motore.
Sigri è la contrazione di quello che sui portolani genovesi era chiamato “Porto Seguro” cioè sicuro in quanto riparato dai venti. C’è un bel castelletto turco, un porto di pescatori, ristorantini, affittacamere, un museo degli alberi pietrificati (una bella struttura realizzata con fondi Unesco, quando ci siamo pasati noi era chiuso), una spiaggia. Il posto è piacevole ma isolato; c’è un pullman che alle sei di mattina e con un viaggio di due ore e mezzo ti porta a Mitilene, la città più importante di Lesbo.
Siamo fermi a tempo indeterminato, il 20 dobbiamo essere ad Istanbul per un ricevimento programmato con l’ambasciatore italiano Gianpaolo Scarante presso la sua residenza a palazzo Venezia, ma il Meltemi non accenna a calare. A sera controlliamo la Meteo: Vento forza sette, direzione contraria, domani staremo fermi.
18/7 SIGRI
Giornata balneare, l’acqua è fredda e pulita, sul fondo ci sono molti pezzi di anfora calcificati negli scogli, Pinne nobilis tra le posidonie, stelle marine… nessun polpo, solo tane vuote, eppure tutte le barchette sono attrezzate per pescarli. Sia ammazza il tempo in barca e nei baretti di Sigri.
Le previsioni chiamano un calo per il pomeriggio, proviamo ad uscire, ci mettiamo in rotta e avanziamo a 3 nodi spanciando come tonni: Non vale pena insistere, rientriamo a Porto Seguro e rimandiamo la partenza a domani.
19/7
Altra giornata fermi a Sigri. Pido e Umberto prendono il pullman delle 6 del mattino e vanno a Mitilene, capoluogo di Lesvos.
Arriviamo alle 9.15, dopo un viaggio assieme a vecchietti e ragazzi con lo zaino che si spostano da paesino a paesino o per recarsi nel capoluogo. Scendiamo dall’autobus in condizioni pietose a causa della levataccia e della cena della sera prima e ci infiliamo nel primo bar che incontriamo nella stazione per fare colazione col solito caffè frappè, sugar medium.
Muovendoci verso il lungo mare, annusiamo un’aria turchesca e subito notiamo la cupola della chiesa di San Theraponta che si erge sopra il porto costeggiando la strada Ermoy, ora via dello shopping, un tempo luogo del mercato turco che porta al castello di Mitilene. Dopo aver scattato qualche foto entriamo: i colori sono forti, viola, verde, blu ed oro. La chiesa ospita due preziose icone bizantine, del Gesù Cristo (XIV secolo) di Giovanni il teologo (secolo XV). Usciamo e iniziamo a percorrere la strada gonfia di gente che fa acquisti nelle tante botteghe di ogni tipo. Veniamo colpiti da un macellaio che sta tagliando dei pezzi enormi di agnello: ci invita ad entrare, vuole farsi riprendere nella maestria del suo lavoro e noi ne siamo ben felici. Incontriamo alcune çesme (fontane ottomane) e poco dopo la cattedrale di San Attanasio; entriamo e facciamo conoscenza con un gruppo di vecchiette che assieme ai nipotini sono sedute davanti alle reliquie del santo a cui la chiesa è dedicata. Fa caldissimo ma sembra che lo percepiamo solo noi. Una delle vecchiette ci invita a porgere omaggio alla reliquia alitando sopra la teca di vetro che contiene le spoglie del santo. Accanto si trova una specie di corona d’oro con al suo interno un frammento di cranio: tutto questo fa parte di una religiosità a noi estranea, lo troviamo poco igenico ma alitiamo anche noi. Superstizione o scaramanzia?
Poco lontano un altro edificio religioso, questa volta abbandonato: si tratta della moschea Yeni, la più recente (è stata costrutia nel 1825) e grande rimasta a Mitilene. E’ fatta di sassi e mattoni rossi e al suo interno si vedono quelle che un tempo dovevano essere le volte che reggevano una grande cupola, in un misto di architettura bizantina ed ottomana. Particolarmente bello è il Mihrab, una nicchia semicircolare che all’interno delle moschee indica la direzione in cui si trova la Mecca. E’ un sincretismo seppellito dalla storia che affascina e ci apre a nuovi orizzonti, alla curiosità verso l’Islam, a cercare di scrostare le diffidenze e le incompresioni.
Nel giardino della moschea un vecchio fa colazione con un panino davanti a una costruzione che ospitava le fontane in cui i fedeli si lavavano prima delle funzioni religiose e la casa del Mufti (autorità religiosa mussulmana). Proprio come potrebbe accadere in un chiostro di un paese cristiano. I centri religiosi in fin dei conti dovrebbero essere proprio questo: luoghi di pace e serenità. di meditazione e di dialogo.
Usciamo dalla moschea e a pochi passi la strada si apre di nuovo sul mare rivelando le mura del castello di Mitilene che si estende dal mare su una bassa collina. Il castello è grande e fino al 19 secolo era abitato. Esploriamo i bastioni più a ridosso del mare, rovine di mura e grandi torri circolari che proteggevano il porto. L’area è un cantiere a cielo aperto: vediamo operai che lavorano attorno a quello che sembra un antico bagno turco e poco distante ci imbattiamo in un vero e proprio scavo archeologico. Facciamo due parole con uno degli archeologi: stanno portando alla luce una strada del periodo romano che collegava la fortezza al mare. La fondazione del castello è bizantina; l’isola di Lesvos e la sua roccaforte di Mitilene vennero donati all’avventuriero genovese Francesco Gattilusio nel 1345 dall’imperatore Giovanni V Paleologo come ricompensa per averlo aiutato a sconfiggere il rivale Giovanni VI Cantacuzeno nella lotta per il trono dell’Impero Romano d’Oriente. La famiglia Gattilusio governò l’isola anche dopo la caduta di Costantinopoli come vassalli dell’impero Ottomano fino al 1462, quando l’ultimo discendente della famiglia venne deposto e poi giustiziato a Costantinopoli. Gli Ottomani governarono l’isola fino al 1912: 500 anni di presenza che dentro il castello trovano testimonianza nelle costruzioni rimaste in piedi tra le quali spiccano l’hamam e il bell’edificio della scuola coranica su due piani. Nulla o quasi rimane della chiesa di San Giovanni Battista che fungeva da cappella funeraria della famiglia Gattilusio, costruita dove sorgeva l’antico tempio pagano di Demetra e che dopo la caduta dei genovesi divenne moschea. Antichi materiali greci e romani (spolia) sono usati in tutto il castello; particolari sono gli altorilievi con galdiatori che combattono contro dei leoni. Immagini che inserite come ornamenti in murature all’ingresso delle mura nord del castello la dicono lunga sul meticciato culturale di questi luoghi.
Torniamo a Sigri con l’ultima corsa delle 13.30; attraversiamo di nuovo le montagne di Lesvos (picco massimo 930 metri) nello stesso autobus dell’andata, questa volta semi vuoto.
Abbiamo deciso di partire alle 18 con un calo previsto del Meltemi. Il carogna non diminuisce e cosi decidiamo di rimandare a domani mattina, avvertiamo tutti che il 20 non saremo ad Istanbul.
Ma domattina si va in ogni caso: non si può più aspettare, il 23 sera dovremo ripartire da Istanbul per mantenere le scadenze di sbarchi e imbarchi.
14/07
Il volo per Mykonos parte alle 6 del mattino, arriviamo in parcheggio e dormiamo qualche ora in macchina per poi riconsegnarla e rimbarcarci con destinazione Myconos.
Il viaggio è cosi breve che non si fa in tempo a dormire (a parte Pido), sbarchiamo a Myconos alle 7 completamente sfatti dal sonno, cerchiamo un pullman che ci porti in paese ma non c’è, non sappiamo dove andare nè quanto dovremo aspettare prima che arrivi Moana 60. Decidiamo di affittare una macchina anche per via delle attrezzature che ci trasciniamo dietro, e intanto andiamo a dormire in spiaggia approfittando degli ombrelloni di un albergo.
Al risveglio la spiaggia è bellissima e il mare pure… c’è Meltemi, vento del nord fortissimo, la spiaggia è attrezzatissima, tipo villaggio turistico, Alessandra fa una passeggiata e torna indietro ridendo: c’è l’animazione in italiano, un insospettabile padre di famiglia esulta dopo aver conquistato un tot di punti in una gara di freccette… prendiamo un caffè shekerato e fuggiamo.
Andiamo sul lato nord, più ventoso e meno affollato; ci mettiamo in contatto con la barca: sono a Syros, a 30 miglia di distanza perchè hanno un problema con la timoneria e stanno aspettando un meccanico che vada a vedere di cosa si tratta. Aspettare in Grecia è una cosa seria, sicuramente non vengono a Mykonos oggi, forse verranno domani. Noi siamo troppo cotti per fare un altro viaggio, cerchiamo un albergo. Troviamo un residence bellissimo, a picco su una spiaggia semideserta e senza ombrelloni, sicuramente troppo caro ma chiediamo lo stesso… 30€ a testa, lo prendiamo subito: c’è il cucinino e ci faremo noi la cena. Il resto della giornata passa a metterci in pari con la “comunicazione”. Finalmete Enrico riesce ad aggiornare il Blog.
15/07 SYROS
Ci aggiorniamo con Moana… nulla di fatto per il timone. Il meccanico si è presentato più volte posticipando l’appuntamento, decidiamo di raggiungerli noi a Syros, ci sono più traghetti quotidiani, scegliamo quello delle 14,45. Saliamo sul ponte più alto e ci guardiamo il Meltemi, si finge che sia uno spettacolo, invece sarà una bolina durissima per arrivare allo stretto dei Dardanelli… ma è inutile pensarci adesso.
Sbarchiamo a Ermoupoli, capoluogo dell’isola di Syros e ritroviamo il Moana 60 con il suo equipaggio ad aspettarci, finalmente siamo riuniti. Ci dicono che l’appuntamento col meccanico è domani alle 9, quindi tutti liberi fino ad allora.
Approfittiamo volentieri per fare un giretto per il centro, la barca è ormeggiata in un angolo del porto occupato da ristorantini e bar: la movida del posto. Il centro è bello e curato, in alto spicca Ano Syros, la città medioevale tutta stradine labirintiche con una basilica cattolica e circa 500 gradini per raggiungerla. Gatti ovunque. Dall’altro lato del porto vi sono gru e cantieri in grado di effettuare lavori su navi, cosa forse unica in questa zona. E’ evidente che esiste un’ economia non solo basata sul turismo. Il paese è grande e vivo tutto l’anno. Nessuna testimonianza di presenza veneziana a Syros, anche se alcune case affacciate sul mare e una spiaggia vengono vendute nei tour guidati turistici come “piccola Venezia”. Nel 1210, a seguito delle conquiste della quarta crociata, Syros entra nella sfera di influenza della famiglia veneziana dei Sanudo nell’ambito del ducato di Nasso, formalmente vassallo di Guglielmo II principe d’Acaia. Ma a quanto pare qui (come scopriremo a Tinos) la presenza di “franchi” era mista: genovesi, francesi, veneziani… Nel 1286 il veneziano Bartolomeo Ghisi, governatore di Tinos assediò l’isola senza successo. Nessun leone marciano da cercare qui. Nel 1537 l’isola passa sotto i turchi fino alla liberazione avvenuta nel 1823. Ermoupoli è stata fondata all’inizio del 1800: qui furono costruiti i primi “magazzini pubblici di transito merci” in Grecia e il primo ginnasio della Grecia indipendente, si svilupparono i cantieri navali e nel 1856 venne fondata la prima società di navigazione greca “Piroscafi Greci”. Le primissime industrie greche si svilupparono su quest’isola, che ne mantiene con orgoglio il ricordo. Ma nel 1900 la costruzione del porto del Pireo e l’apertura del canale di Corinto indebolirono l’economia dell’isola, che rimane comunque anche oggi un importante nodo di cabotaggio.
Il lungomare costellato di bar è un continuo sfrecciare di macchine e motorini, la città è allegramente trasandata e molto vivace.
Dopocena grande esibizione di Wasted Pido in concerto al bar davanti alla barca. Veniamo adottati da Salvatore, un vecchio punk rocker del luogo che ci offre da bere a ripetizione… e andiamo a nanna belli caldi.
16/07
Arriva il meccanico e ci parla di qualche giorno per fare i lavori, sembra anche che l’esito sia incerto, cerchiamo in internet i ricambi e scopriamo che il rivenditore in Italia è a Marina di Ravenna, ci siamo conosciuti durante i lavori sul Moana 60, qualche telefonata, un paio di mail e alla fine decidiamo di ordinare i pezzi e farli spedire a Elena a Venezia, che ce li porterà ad Istanbul. Il timone cosi come è ha dei grossi laschi però può tenere, ci accordiamo col meccanico così quando tra due settimane ripasseremo di qua ce li faremo montare.
Partiamo subito, vogliamo approfittare di una finestra di 24 ore in cui il Meltemi scenderà, per poi riprendere più forte: Rotta verso Lesvos.
12/10 NAUPLIA Appuntamento a Nauplia alle 11 con un assessore e un archeologo. Partiamo da Monemvasia presto ma le strade del Pelopponneso sono veramente traditrici: sembra di non arrivare mai e così chiamiamo per avvertire che siamo in ritardo. Ma il tam tam delle comunicazioni ingrandisce il problema e l’appuntamento viene rinviato a domani. Ci inerpichiamo sui bastioni delle Palamidi nell’orario peggiore, le 13, appena arrivati a Nauplia tanta è la voglia di conoscere la mitica fortezza veneziana che è passata alla storia principalmente per il ruolo importantissimo che ebbe nella lotta per l’indipendenza della Grecia. Nauplia fu infatti tra le prime città a liberarsi dalla dominazione ottomana, nel 1822, diventando prima capitale dalla Grecia. Qui arrivò nel 1828 il primo governatore della Grecia indipendente, Ioannis Kapodistrias che qui venne assassinato davanti alla chiesa di San Spirione nel 1831. (more…)
11/07 MONEMVASIA
Ormai il sole è alto e l’isola della fortezza in controluce. Abbiamo appuntamento con Babis Lyras, responsabile del settore turismo del comune, un ragazzo molto gentile che di lavoro alleva polli “bio” e per passione coordina il settore turismo della sua città. Ci spiega che Monemvasia vuol dire “unico accesso”, infatti per arrivare sulla grande isola rociosa che ospita la città antica e sulla sua cima il vero e proprio castello, c’è un unico ponte. (more…)
10/07 MODONE
Modone conserva molto del suo carattere primitivo. I vecchi bevono caffè greco, che non ci sembra molto diverso da quello turco. L’impressione è che il paese vivacchi di un turismo che non è mai veramente decollato. Per strada, ai tavoli dei bar, soprattutto anziani. Si invidia un po’ la loro calma e apparente tranquillità levantina. Sembra che le cose qui non siano mai cambiate molto negli anni, la maggior parte delle case avrebbe bisogno di restauri, alcune sono veri e propri ruderi. I bar conservano il loro sapore senza essere folkloristici. Un solo negozio vende souvenirs e cartoline, e anche quelli sembrano fondi di magazzino, rimasti dove si trovano da un tempo in cui il turismo sembrava stesse per decollare (fine anni ’70 – inizio ’80 a quanto pare).
Sveglia all’alba per le riprese, il castello era già aperto ed è stato esaltante averlo tutto per noi con la prima luce del mattino. Ci si arrampica sui bastioni, il posto è magico, molto più affascinante dell’Acropoli sotto assedio dei turisti. Leoni di San Marco decorano i bastioni “Bembo” e “Loredan”: fanno sentire a casa. La baia è tranquilla e ben riparata, ci sono barche in rada. Il castello è magnifico, occupa tutto il promontorio: di origine bizantina, fu veneziano dal 1204 al 1500. Preso dai turchi dopo un assedio tremendo, ritornò sotto i veneziani nel 1686 a seguito della prima guerra di Morea sotto il comando di Morosini (sempre lui). Nel 1715 la fortezza venne ripresa definitivamente dagli ottomani. Più di un secolo dopo il ritorno ai greci.
Dentro il castello un campo di aglio selvatico in fiore. Sulle mura abbondanti piante di capperi, una coppia di anziani li raccoglie litigando continuamente, sembrano farlo da sempre, non capiamo una parola ma fanno ridere.
Poi di nuovo in paese a fotografare le strade, la vita quotidiana di queste persone. Entriamo in un bar ma il vecchino intento a scaldare un caffè in un alambicco di metallo non si accorge nemmeno della nostra presenza. Quando si gira Pido lo fotografa: non sembra gradire, uno però si offende e ci dà dei mafiosi, come se fare delle riprese fosse un atto criminale. Cerchiamo di spiegare di cosa tratta il nostro progetto, Pido scrive su un foglio il nostro indirizzo web, niente da fare. L’uomo è sempre più minaccioso. Fortunatamente inteviene il pope seduto a pochi passi, lo calma con due parole e fa capire che il signore non è cattivo ma solo un po bizzarro.
La gente per strada ci guarda come se fossimo alieni, mentre ci aggiriamo affamati e sudati con l’attrezzatura per la strada. Altro bar, sempre pieno di vecchietti locali ma dall’aria più moderna. Caffè greco bollente dopo il bicchiere d’acqua gelata che qui in Grecia viene portato di default.
Vorremmo stare qui, bere un altro caffè greco, parlare coi vecchietti ma non c’è tempo, alle 11 ci aspettano in comune a Pylos (l’antica Navarino veneziana) per l’intervista programmata col sindaco grazie al lavoro di relazioni intrecciate dalla Marco Polo System. Il paese è carino, la baia (che è stata teatro della celebre battaglia di Navarino) chiusa da un isola. Una bella piazza con i tavolini dei bar all’ombra dei platani, un bel porto e anche un marina, una spiaggia di ghiaia, il solito mare stupendo. Tutto quello che serve. Ci accolgono il gentilissimo vicesindaco Panaiotis e la giovane segretaria Aristea. Il sindaco è impegnato, ci spiegano, stamattina è scoppiato un incendio poco lontano. L’incontro è quindi veloce, l’intervista si svolge senza intoppi (si era preparato un discorso scritto) e anche se non capiamo nulla di quello che dice, sembrano tutte cose positive. A Modone verrà fondato a breve un centro culturale delle relazioni Venezia-Grecia, con l’obiettivo di incentivare il turismo culturale con un occhio di riguardo al diportismo velico.
Mangiamo in piazza a Pylos, all’ombra degli alberi: moussaka e polipo ai ferri, tutto molto buono. Il tempo vola e sono già le 15.30, abbiamo un’altra intervista da fare, questa volta a Marisa, una giovane archeologa che lavora ai restauri della chiesa bizantina all’interno della fortezza nuova. Ci racconta la storia del luogo, in greco, molto professionamente, ma a differenza del sindaco abbiamo tempo di conversare un po’. “Cosa rimane dello spirito veneziano?” “Niente!” – risponde lei senza pensarci troppo. Non è un vecchio professore, ma una ragazza intimidita dalla reflex. I nostri modi a dir poco informali la convincono rapidamente che non sarà divorata dalla telecamera, ci racconta tutta la storia dei castelli della zona, chiacchieriamo del più e del meno cercando di capire quali possano essere i legami ancora esistenti con la cultura veneziana, lei ci racconta che alle superiori in Grecia si studia il Latino e resta impressionata quando le diciamo che anche noi a scuola abbiamo studiato Greco antico… se sapesse che combriccola di ripetenti si trova di fronte! Ci consiglia fortemente di visitare anche il castello vecchio – Palaiokastro – poco distante. Ci muoviamo quindi verso Nord, verso le lagune di Gialova, ma l’orario ancora troppo caldo non consiglia di prendere la strada del castello. Ci fermiamo in una baia con spiaggia incantevole da cui si vede benissimo il castello in questione. Verso le 6 ci muoviamo finalmente alla volta del castello. Tiziano vuole arrivarci per le strade sterrate, nonostante le buche enormi che le costellano, fino a che non incontriamo un gregge di pecore che sbarra la strada. Viene avanti il pastore, un ragazzo coi capelli lunghi sotto il berretto da baseball e un cellulare customizzato con una lunga antenna di ferro: “Road no good” dice consigliandoci di prendere la strada principale. Meglio non disturbare le pecore, torniamo sui nostri passi. Poco dopo parcheggiamo la macchina e cavalletto in spalla ci incamminiamo verso il castello. Alcuni cartelli sulla strada avvertono che il castello è chiuso perchè pericolante. In realtà il castello è accessibile, solo che è lasciato in abbandono a se stesso, è allo stato brado e per questo ci piace ancora di più. Il sentiero che porta al castello è pieno di grossi ragni appesi alle loro reti ai lati del cammino. Avvicinandosi sembra il panorama di un vecchio film medioevale, il castello sembra incantato, da lontanto si sente la sua origine latina, con un po’ di fantasia puoi immaginare i cavalieri in armatura cavalcare verso di esso alzando la polvere del sentiero.
Aveva ragione Marisa, dal castello la vista è mozzafiato e ci godiamo l’inizio del tramonto che cade sulla spiaggia dove poco prima abbiamo fatto il bagno e sulle lagune circostanti. Ma è meglio fare presto, tra poco sarà buio e non abbiamo una luce per seguire il sentieri al ritorno. Inoltre domani abbiamo un appuntamento a Monemvasia, 300 e qualcosa km di strada greca, che vuole dire 5 e passa ore di macchina di notte. Si devono fare passi di montagna. Facciamo una tappa a Kalamata dove mangiamo una quantità industriale di souvlaki seduti sui tavolini su una aiuola spartitraffico. Ci sono solo clienti abituali, la televisione è accesa su un documentario della tv greca, ma non capiamo bene di cosa parla, forse è la storia di un fotografo degli anni ’60. Spunta un gattino magro e sporco da dietro l’aiuola, miagola a tutto spiano e non sembra avere molte possibilità di sopravvivenza così piccolo in mezzo tra due strade. Sicuramente è meno fortunato di tanti altri gatti che incontreremo durante il viaggio. I gatti greci sono generalmente più magri dei nostri, ma qui non si è persa la buona abitudine di teneli per strada, come succedeva anche a venezia prima che si decidesse di salvarli dalla strada sterilizzandoli e rinchiudendoli in prigioni apposite. Gli gettiamo alcuni pezzi di carne.
Dopo Kalamata inizia la parte dura del viaggio. Le strade sulle montagne d’Arcadia non sono consigliabili di notte. I greci evidentemente lo sanno e infatti incrociamo due o tre macchine durante tutto il tragitto. Tiziano è cotto, guida da due giorni e ha bisogno di un cambio a metà strada tra Kalamata e Sparta, la strada è un continuo di tornanti in salita e discesa, spesso senza linee di segnalazione per terra, e senza illuminazione. Si procede con gli abbaglianti accesi, marce basse e occhi aperti nonostante il sonno incominci a bussare. Stop a Sparta. Parcheggiamo vicino alla piazza principale, due passi e siamo in mezzo alla movida: baretti con musica dance sparatissima, tanti ragazzi ma anche famiglie sedute ai bar o nelle sale giochi, e bambini che giocano a pallone in mezzo alla piazza. Sembra una di quelle sagre estive dei paesini delle montagne venete. This is Sparta.
Seguiamo per Gytheio, poi le indicazioni per Monemvasia si fanno più frequenti. Ci arriviamo alle 3 meno un quarto di notte, con la sensazione di aver quasi compiuto una impresa ad arrivare fino a qui. Troviamo subito un bel alberghetto con vista sulla baia appena arrivati. Siamo stati fortunati, la coppia che lo gestisce è giovane e molto gentile. Si capisce che stavano dormendo, ma ci fanno accomodare comunque all’ultimo piano, in una stanza con terrazza da cui si vede nel buio la sagoma tozza dell’isola dell’antica Monemvasia.
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