Platarias – Lefkadas

DA PLATARIAS A LEFKADAS (LEUCADE, SANTA MAURA ) 45 miglia - 19 luglio 2011

 

Partenza all’alba dopo una esplorazione del paese dei turisti persi, anime alla Gogol che non riescono neanche a pensarsi più in pista ma solo all’ammollo. Poco vento, molto motore, buono per acclimatarsi con barca ed equipaggio. La stanchezza dopo il viaggio in traghetto mi prende subito all’uscita dal porto e mi assalirà ancora a ondate, come una malia. Ma ora c’è da cominciare a veder scorrere mare e isole, a immergersi in questo mondo così vicino. L’obiettivo è Paxos, una delle due sorelle minori di Corfù, approdi di passaggio per la navigazione verso Sud ma anche posti piacevoli, non proprio assediati dal turismo anche se pare che di invasioni di questo genere non ve ne siano in atto. Sulla costa so che c’è Parga, enclave veneziana in terra ottomana come allora era l’Epiro. I veneziani la chiamavano “l’occhio e l’orecchio di Corfù”, il che la dice lunga sulla sua importanza strategica. Come Butrinto in Albania, questa piccola città con un castello di origine normanna su un promontorio roccioso e aspro faceva da sentinella alle rotte cristiane, caposaldo alla fin fine soprattutto per il contrabbando, fiorente allora quando faceva confine tra due stati malgrado i privilegi commerciali che godeva. La visitai anni fa, scoprendo qualche leone e una rocca ignorata dai turisti che la affollavano e nascosta dai pini marittimi. Rimase fedele alla Repubblica fino alla sua caduta, finì in mani francesi e inglesi, che la vendettero ad Ali Pasha Tepelena, il signore di queste terre, dall’Albania a Ioannina. Divenne greca solo nel 1913, neanche un secolo fa. Sembra impossibile che sia passato così poco, ma la nazione ellenica non ha il suo spirito, ha una storia recente, che iniziò col conte Capodistria all’alba del XVIII secolo proprio da queste isole dell’Eptaneso ionico che nella loro bandiera portavano un leone con sette frecce. Più in giù sta Preveza, altra fortezza veneziana dopo che era stata ottomana e forse bizantina o chissà cos’altro.So solo che allora, dieci anni fa, era ancora una base militare e una sua foto mi costò un paio d’ore al comando della polizia locale. Può essere una spia uno che in bragozze da spiaggia in moto e con la fidanzata si mette a sparare raffiche a delle mura vecchie di secoli?Lo so, c’erano i cartelli no photo (in greco, ma si capiva dallo sghiribizzo) ma potevano fare meno scena, mi sembrava di essere tornato in guerra dalle parti di Zara e Knin, tra parentesi altri posti veneziani fino alla fine della Repubblica.

Ma qua sto già divagando e invece siamo ancora in barca ma con le vele sgonfie e il motore a rullare col mare calmo verso Paxos, un’isola piccola che dicono assediata dai vacanzieri famosa nell’antichità perché qui venne rivelata la fine della classicità e del paganesimo. Una storia dai contorni nebbiosi, come una profezia, raccontata da Plutarco che ogni tanto riemerge come un relitto antico come il culto di Pan, il signore dei boschi e della natura che cacciava ed era sempre in tiro, quel mezzo uomo e mezza capra che fece da modello al diavolo e il cristianesimo bollò, dichiarandogli contro una guerra senza quartiere. Un marinaio egiziano, Thanus, diretto verso l’Italia s’imbattè in una bonaccia come quella che stavamo atraversando proprio nelle acque antistanti a Paxos e una voce dal mare gli ordinò di annunciare che Pan era morto. Che una civiltà era finita e agli sgoccioli. Lui lo fece e un coro di lamenti si levò dal mare. Io tesi l’orecchioma non aprii la radio o mi collegai a Internet, e non sentii niente. Ero già fuori dal mio mondo e la crisi economica peggiore dopo quella del 1929 era già sfumata come la foschia che avvolgeva Parga e il Continente. La vita reale era già lontana, o era quella la vita reale? Di sicuro quando Pausania, altro viaggiatore dell’antichità, tornò da queste parti un secolo dopo il divin cornuto era ancora adorato. Chissà che il sistema occidentale non ci metta altrettanto ad affondare così ho il tempo anche di godermi la pensione. Si discute spesso in questa barca di movimenti e aggregazione, di impegno e rivendicazioni. Il mix delle età permette un buonconfronto tra chi il ’68 l’ha fatto e chi non l’ha nemmeno considerato. Sono tre generazioni, ma sembrano veramente passati secoli. Le sicurezze si sono sfaldate e ora tentano di mettere giovani contro vecchi, fissi contro precari, donne contro uomini. Destra e sinistra sono morte come Pan ma non rinunciano a zampettare turgide e cornute sui nostri sogni e illusioni. Servirebbe una resurrezione più che una redenzione, un sussulto di lotta comuneoltreche d’orgoglio di bandiera. Servirebbe. Ma dove sta? Atene è solcata da manifestazioni impetuose ma la distruzione dello stato sociale procede senza freni, con gusto sadico. Il lavoro è una chimera, la paga viene tagliata a 700 euro, e altre misure draconiane sono all’orizzonte per soddisfare la fame dei Mercati, vogliono vedere il sangue i ragazzi, hanno la bava alla bocca e chiedono sempre di più, dovremo sacrificare vite e vestali per soddisfare quel mostro venuto da mare che è dentro di noi, nei nostri portafogli e nelle nostre voglie. Ma si sta meglio oggi. Lo dimostrano i primi pescatori che trovo a porto Gaios: il sole batte deciso il mezzodì e quelli svolgono le reti della pesca notturna parlandosi in arabo. Le loro barche sono colorate e tozze come gozzi, due prue sembrano avere, e pochi arnesi moderni. Ma solo all’ entrata del paese leccato e già imbiancato come da cartolina, trovo il pescatore greco. Questi mestieri, come i tanti di retrovia del turismo glocale (sguatteri, cuochi, camerieri, imbianchini) anche qui come da noi sono appannaggio di albanesi, moldavi, nordafricani. Est e Sud ci assediano. E fanno bene. L’ormeggio è all’inizio del canale che porta a Gaios, c’è da fare carte prima che la siesta sbarri la porta.
Come al solito non si paga, potenza di un paese dalle mille isole e prodigo di approdi e sbadataggine. Speriamo non cambi, come invece la Croazia sta facendo tassando anche il respiro del vento. Gaios, che il portolano di Enrico mi dà anche come Limin (dovrebbe stare per porto) Paxon, dovrebbe essere assediata dai turisti, non lo è. Meglio. Di sicuro carte e vista hanno individuato una fortezza sull’isoletta di fronte di Ay Nikolaos. Sarà nostra. Io e Pido ci armiano di gommone a un remoe iniziamo lo show per varcare il canale. Prima di capire che uno si deve mettere a prua a pagaiare danziamo impazziti tra barche e barchette, poi trovo il sistema e approdiamo in mezzo ai rovi. Breve salita com molte spine e i fantozziani beccano finalmente un sentiero. In cima la fortezza ha le mura basse ma decise, è più un caposaldo che altro.
Però due vecchi cannoni sorvegliano il mare aperto e dei restauri tengono il perimetro. Dentro una fontanella di ferro arruginita con un becco lavorato e un caldo infernale. La parte migliore è la torre circolare che sta fuori, superstite di altri tempi e di altre armi.
Torniamo alla base con mezz’ora di ritardo sulla tabella prevista dopo e non ci linciano. Forse perché il bagno è vicino in una bella baia di Antri Paxos Poi motore serrato per arrivare a Lefkas in tempo per entrare nel canale scavato dai corinzi e dai romani antichi e poi dai greci il secolo scorso. La dead line è alle 21, ci arrivamo cinque minuti prima avvolti nelle luce del crepuscolo e già un po’ rapiti dalla fortezza di Santa Mauraadagiata dopo un paio di orrende costruzioni sulla spiaggia di sassi bianchi che anticipa umilmente la bianca scogliera che sta più a Sud dove la poetessa Saffo saltò come molti altri, criminali o solo troppo se stessi. Chi sopravviveva veniva perdonato dai suoi reati. Pochi ci riuscivano. Ma meglio tentare di volare che rimanere chiusi in gabbia per sempre, diceva Steve Mc Queen (o era Vasco?).La fortezza veneziana si allunga su un lato del canale, le mura alte sui sei metri sono massicce e senza tante feritorie. Murada cannoni, da batterie, da salve assassine per affondare chi avesse voluto avventurarsi verso la città che sta a meno di un chilometro, unita al continete da una strada asfaltata come un tempo lo era da un ponte. Una scavatrice lavora a tenere il canale navigabile, se si insabbiasse un intero paese forse morirebbe. Sfiliamo davanti al porto delle galee con bitte di pietra mangiate da un tempo che affondava fino al Medioevo. Il ponte girevole si apre, macchinasingolare e simpatica, le auto si fermano, tocca a noi barche passare e infilarci nella marina davanti paese, in città come gli antichi, a due passi dalla vita. Che prende le forme di locale che di nome fa Pirates e di simbolo un Leone rampante forse più vero di quello incastonato nelle mura della fortezza che esploreremo il giorno dopo. Il liston, la passeggiata centrale, è piena i gente, i bambini riempiono di giochi la sera in piazza, c’è vita in questa Leucade!